25 Febbraio 2025 - di Stefano Olivari
Il Napoli perde la testa della classifica proprio prima della sfida scudetto con l’Inter al Maradona: la squadra di Simone Inzaghi è adesso sopra di un punto rispetto a quella di Conte e di 3 rispetto ad un’Atalanta che dopo l’uscita dalla Champions League punta tutto sullo scudetto. Vincendo a Cagliari la Juventus fa un grande passo verso il quarto posto da Champions, visti i passi falsi di Lazio, Fiorentina, Milan e Bologna. Per quanto riguarda la zona retrocessione, il Parma dell’appena arrivato Chivu battendo fortunosamente il Bologna diventa quartultimo, con l’Empoli che prosegue il suo periodo tragico e si candida ad accompagnare Venezia e Monza in Serie B.
Un’Inter poco brillante, e nemmeno reduce da impegni infrasettimanali, è stata salvata a un quarto d’ora dalla fine da Lautaro Martinez contro un eccellente Genoa, che Vieira ha portato a centroclassifica e che in teoria aveva poco per cui battersi a San Siro. Ma i rossoblu, squadra molto fisica e con un piano partita chiaro, ribaltando assetto tattico e atteggiamento nelle ultime mezzore delle partite, hanno concesso pochissimo e sullo 0-0 hanno avuto un’occasione che poi il Martinez portiere, l’osservato speciale dopo l’infortunio di Sommer, ha sventato. L’impressione data dall’Inter, ben da prima di questa partita, è stata quella di una squadra in calo o, a pensare bene, di squadra che ha lavorato molto guardando al finale di stagione. Certo con Calhanoglu la differenza si vede e nonostante la rosa ampia le vere alternative a disposizione di Inzaghi sono pochissime, soprattutto in attacco se mancano Martinez o, come in questo caso, Thuram: Correa pessimo, Taremi senza forze e slegato dal resto della squadra. Vittoria brutta sporca e cattiva, di quelle che con il senno di poi sono importanti.
Il Napoli ha giocato con il relativo vantaggio di conoscere il risultato dell’Inter, ma ha avuto la sfortuna di farlo contro una squadra piena di talento come il Como. Il discreto primo tempo, reagendo al pasticcio di Rrahmani, va inquadrato in un periodo in ogni caso negativo, con tre pareggi e questa sconfitta. Un periodo figlio anche di sfortuna, come il pareggio di Angelino nel recupero della partita con la Roma, dell’infortunio di David Neres anche se Raspadori sta facendo bene, del calo generalizzato del centrocampo (e l’esordio di Billing non è che abbia esaltato) e di un cattivo clima creato dalla partenza di Kvaratskhelia verso il PSG. Con sullo sfondo sempre il caso Osimhen, prestato al Galatasaray e a giugno di nuovo da gestire, che farebbe dire a un marziano che il Napoli sta lottando per lo scudetto senza due degli attaccanti più forti del mondo, persi senza un vero perché, a meno che il progetto di De Laurentiis sia quello di essere un’Udinese bis. Questo è il sospetto di un Conte sempre sul punto di esplodere, tra finta autocritica, statistiche strampalate (confronta il Napoli a quello tragico dell’anno scorso, non a quello di Spalletti) e vera concretezza, quando spiega apertamente che i grandi progetti per il futuro non c’entrano con i risultati che decidono la carriera di un allenatore. Per lui situazione strana, perché il contismo si basa proprio su squadre senza stelle o con stelle naturalmente gregarie come Lukaku.
La vittoria sull’Empoli era quasi scontata per l’Atalanta, dopo l’inaspettata uscita di scena in Champions League contro il Bruges e soprattutto dopo le parole di Giampiero Gasperini, che ha annunciato la sua volontà di non rinnovare un contratto che scade nel 2026 e che lui vorrebbe rescindere già alla fine di questa stagione, magari salutando con uno storico scudetto che peraltro sarebbe pienamente nelle potenzialità della sua squadra. Il caso Lookman va molto al di là di un rigore tirato e sbagliato sull’1-3, caso fra l’altro infondato perché l’olandese aveva fino a quel momento segnato tutti i rigori (4) tirati con la maglia dell’Atalanta, ma è la spia del vero problema nel rapporto fra il Gasperini attuale e l’Atalanta: nonostante il cambio di status il club bergamasco, adesso controllato dalla cordata americana di Stephen Pagliuca, è visto dai calciatori più forti come una tappa di passaggio e non come un punto di arrivo. Paradossalmente quello che deve farsi andare bene l’Atalanta come punto di arrivo è proprio Gasperini, che nel corso delle stagioni ha visto su panchine di grandi club anche allenatori esordienti o comunque scommesse, quando non direttamente scarsi. Inoltre non ha sentito da parte della proprietà ibrida, con i Percassi uomini immagine ma non più decisori finali, quel calore che pensava di meritare, non fosse altro che per le plusvalenze che ha consentito di fare trasformando giocatori normali come Koopmeiners in uomini mercato. In altre parole, a 67 anni Gasperini si è messo sul mercato in una stagione in cui tanti club hanno panchine traballanti. Conte è in rotta con il Napoli (più volte vicino a Gasperini, anno scorso compreso), Ranieri forse alla Roma farà il dirigente, Conceiçao sarà salutato dal Milan, mentre su Motta c’è un punto interrogativo legato non soltanto al quarto posto.
Thiago Motta ha superato il periodo natalizio rimanendo sulla panchina della Juventus e certamente farà lo stesso con quello pasquale, anche se l’eliminazione dalla Champions contro il PSV ha rappresentato un danno incredibile sotto ogni profilo. Contro il Cagliari un po’ a sorpresa ha rispolverato Vlahovic come titolare, facendo partire Kolo Muani dalla panchina, e il serbo lo ha ripagato, facendo riflettere sull’ostracismo delle scorse settimane, più o meno ispirato da un club per cui Vlahovic in prospettiva rappresenta un problema. A questo punto la classifica e il calendario dicono che il quarto posto è per la Juventus ampiamente alla portata: la permanenza di Motta non è legata unicamente al raggiungimento di questo traguardo minimo, che minimo non è, ma alla fiducia che John Elkann avrà in Giuntoli dopo due stagioni fallimentari sotto molti profili.
Contro il Torino il Milan ha concluso male una settimana già di suo drammatica, con l’eliminazione dalla Champions League per mano del mediocre Feyenoord da cui era stato acquistato Gimenez, peraltro un colpo che in prospettiva potrebbe essere giusto. Solo che la prospettiva del Milan è ad andare bene l’Europa League. Andando oltre il risultato bisogna dire che contro la squadra di Vanoli, grintosa ma poco di più, i rossoneri hanno anche giocato una buona partita, con tutto reso vano dagli errori dei singoli, in particolare un Maignan la cui crisi era iniziata già con Pioli. Unica squadra fra quelle importanti ad avere fatto un mercato costoso a gennaio, il Milan si ritrova a 8 punti dal quarto posto della Juventus, 5 se dovesse vincere recupero con il Bologna che comunque ha i suoi stessi punti. Situazione che ha tanti colpevoli, prima di tutto i dirigenti, Ibrahimovic in testa, con i loro continui cambi di strategia figli del rapporto con l’allenatore del momento: adesso le probabilità di Sergio Conceiçao di essere confermato a giugno sono pari a zero, ma non si può dimenticare che diversi prestiti e cessioni sono figli di sue antipatie, da Morata a Calabria, al pari dello scarso utilizzo di Fofana. Tanto valeva tenere Fonseca, che almeno non giocava a fare il sergente di ferro irritando i giocatori. Inutile linciare Theo Hernandez se quella che è una buona squadra, senza dubbio con una delle migliori quattro rose della Serie A, è accompagnata da un ambiente negativo.
Ti è piaciuto questo articolo? Allora ti consigliamo allora di scoprire la nostra sezione del blog dedicata allo sport, al calcio ed ai pronostici sugli ultimi match sulla Serie A.
- |
---|
Articolo Pubblicato il: 25 Febbraio 2025 |
Scritto da: Stefano Olivari |
Laureato in Economia e Commercio all'Università Bocconi, ha iniziato a scrivere nel 1994 per La Voce di Indro Montanelli, proseguendo con testate come La Repubblica, Mediaset, Radio RAI e Guerin Sportivo. Nel 2000 ha fondato il sito Indiscreto, punto di riferimento per lo sport e i media. Autore di dodici libri su sport e cultura pop. |
Potrebbero interessarti anche: